2010-08-12

Restituzione Prospettica - 1 parte

Quello che segue è uno scritto inedito, risalente ormai al lontano anno 1987, riguardante un programma per l'elaborazione dei calcoli, tramite computer, della restituzione prospettica, detta oggi anche prospettiva inversa, o "reverse perspective". Il computer in questione era un Apple Macintosh, uno di quelli a forma di telefono, con il display piccolo e a toni di grigio, ed il linguaggio di programmazione era il Basic 2.0 Microsoft ( ! ).
Torniamo indietro nel tempo (23 anni) e leggiamo come "restituire una prospettiva" con il metodo dei "punti di fuga".









"Restituzione Prospettica" - Roberto Angeletti 26 marzo 1987

Il problema della restituzione prospettica potrebbe essere visto come l'inverso della prospettiva. In sostanza si presuppone che, avendo un'immagine riproducente in proiezione centrale un qualsiasi oggetto, sia essa un disegno prospettico o una fotografia, si possano da questa estrapolare in qualche modo le distanze reali o e proporzioni della realtà tridimensionale dell'oggetto stesso. Ma ciò che appare ovvio, risulta non esserlo ad una analisi più accurata; infatti, è una pura ipotesi che una sola immagine contenga le informazioni necessarie e sufficienti per riprodurre nella sua spazialità l'oggetto rappresentato.
Ciò che il nostro cervello immagina come oggetto reale, e la forma che gli attribuisce, è soltanto frutto di una serie di confronti con modelli, o "shape", archiviati in memoria; osservando l'immagine della fig. 1, noi la confrontiamo con i milioni di informazioni visive che abbiamo nella mente e, trovata quella più simile, decidiamo che la serie di segni che vediamo "somigliano" ad un parallelepipedo che proietta ombra su due superfici affiancate ad esso. Questa chiave di lettura diventa subìto una convinzione così forte che, anche rovesciando il disegno, molti continueranno a vedere come volume ciò che sta sulla sinistra, anche se le informazioni dell'ombra dovrebbero suggerire diversamente.
L'ormai famoso esperimento della camera distorta di Ames e le illustrazioni di M.C. Escher ci dimostrano fuori di ogni dubbio, se mai ce ne fosse uno, che da un'immagine prospettica si può restituire anche l'oggetto che non è, o, addirittura, si può non comprendere la forma dell'oggetto. Conviene, quindi, scomporre il problema in maniera analitica.
Una "immagine" può essere definita come il luogo geometrico delle intersezioni tra il piano proiettivo e le rette passanti per l'occhio e gli elementi dell'oggetto.
Ad una sola immagine corrispondo infiniti oggetti di infinite forme. Scelta una forma, rimangono sempre infiniti oggetti, questa volta tutti simili tra di loro, con cioè, stesse proporzioni ma diverse grandezze. L'oggetto rappresentato può essere, infatti, piccolo e vicinissimo, o enormemente grande e lontanissimo. Dunque, per riottenere, con un metodo grafico o uno analitico, da una immagine le coordinate spaziali dell'oggetto, è assolutamente necessario conoscere alcune "condizioni", che potremmo chiamare "qualità" dell'oggetto stesso. Per essere più espliciti, dobbiamo aver approssimato l'oggetto ad un parallelepipedo o ad una serie di parallelepipedi, di cui conosciamo, se non la vera misura degli spigoli, per lo meno la giacitura reciproca delle facce.

Per tornare all'esempio della fig. 1, le cose che presupponiamo vere dell'oggetto sono:
1) si tratta di un parallelepipedo che proietta un'ombra su due porzioni di pano disposte ad elle.
2) il parallelepipedo e l'elemento formato dalle due porzioni di piano hanno rette comuni.

Vogliamo e possiamo, a questo punto, conoscere le dimensioni dell'oggetto. Trattandosi di un'assonometria, è immediato intuire un sistema che ci permetta di "misurare" l'oggetto dell'immagine; basta un righello per renderci conto che la faccia verticale disposta verso di noi ha il lato orizzontale lungo 1/3 dell'altro lato. Con un confronto ci accorgiamo subito che il piano verticale dell'elemento ad elle è identico alla faccia anteriore del parallelepipedo. Per quanto riguarda la faccia che ha ombra propria, le cose potrebbero essere più complesse, ma presupponendo che si tratti di una assonometria isometrica, scopriamo che la faccia laterale è identica alle altre, pur se nella deformazione assonometria. Una cosa analoga accade per le facce laterali, che scopriamo essere due quadrati.
Fin qui tutto è evidente. Ma cosa accadrebbe se, invece di una assonometria, avessimo una prospettiva a quadro genericamente inclinato ? In questo caso non potremmo dare per implicita la giacitura del piano di proiezione rispetto all'oggetto, ma vi dovremmo in qualche modo risalire.

Vediamo la fig. 2 : l'oggetto è qui rappresentato in una prospettiva accidentale a quadro inclinato,con tre punti di fuga. E' ben noto che per punto di fuga si intende il luogo geometrico ove convergono tutte le rette passanti per spigoli paralleli dell'oggetto. Essenzialmente, ci interessano i segnanti orientati verso destra, verso avanti e verso l'alto, e, quindi, rifacendoci ad un sistema cartesiano levogiro, useremo la dicitura "fughe di x, di y, di z".

Un metodo analitico per trovare i punti di fuga può essere quello di sviluppare un sistema di equazioni delle rette a cui appartengono due dei segnanti che concorrono ad una stessa fuga, usando le coordinate dei punti di inizio e fine dei segmenti.

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